Anima Restaurant: storia di Branding

INCIPIT

Oggi vi parliamo di una nuova storia di Branding che ci ha davvero coinvolto e messo (lo dobbiamo ammettere) a dura prova.

Veniamo contattati da uno chef italiano che sta per aprire un locale a Kobe (sì proprio in Giappone!!) e ha bisogno di aiuto per quanto riguarda il logo design. Si era rivolto già ad altre realtà locali, ma non era ancora riuscito a trovare una soluzione che lo convincesse davvero.

Dopo alcune indagini iniziali, cominciamo a lavorare con queste indicazioni:

- il nome è già scelto. Si chiamerà ANIMA. Il naming non è negoziabile e rimarrà quello. Capiremo tra poco il motivo di questa scelta.

- il ristorante avrà un colore dominante al suo interno (un verde intenso). Anche questo, non negoziabile. È probabile, però, che l'insegna sarà su fondo bianco. Le regole in Giappone sulle insegne sono molto rigide e non ci saranno margini di manovra. Soprattutto in quella zona del Giappone (molto lontana dall'approccio più occidentale di Tokyo), le attività commerciali devono mantenere un tono discreto e materiali come “cartelli”, “insegne” sono poco apprezzate. Quindi dovremo immaginare il logo prevalentemente su fondo bianco.

- sarà un ristorante ITALIANO, con un posizionamento di prezzo medio alto. Non sarà un ristorante di lusso, ma neanche un ristorante da tutti i giorni. La sua posizione nella splendida Kobe è altrettanto strategica e potrebbe giocare essa stessa a favore del posizionamento di marca.

- il nostro interlocutore ci parla anche della sua idea di logo (eh sì, ha una sua idea generale anche per il segno): ci invia un disegno dove campeggia solitaria (ed enorme) questa spiga di grano.

"Il grano è l'anima della cucina italiana. Voglio la spiga."

L'idea che ci viene passata è tutto meno che "alta" o posizionate. Il simbolo che ci invia è trattato in modo molto basso e rimaniamo alquanto interdetti. Ne capiamo la ratio, ma siamo comunque molto titubanti: come alzarlo? Come coniugare il concetto di ANIMA con una spiga?

 

 

Questo l'esempio che ci è stato portato e sul quale abbiamo cominciato a ragionare.

 

 

 

- Italianità a tutti i costi (quindi anche il carattere tipografico sarà occidentale), ma senza scadere negli stereotipi troppo palesi: la nostra clientela dovrà capire che siamo italiani, ma lasciamo “Mario Bros” da parte ;)

- Dovrà essere presente anche un corposo payoff: ci invia la sua idea, ma data la lunghezza e la complessità, in questo caso, ci prendiamo la riserva di poterlo almeno sintetizzare. Sarà comunque un'attività secondaria.

- Abbiamo anche una richiesta sul lato font: dopo molte sue analisi personali è convinto sull'utilizzo del source sans pro light. Il motivo non ci viene spiegato, ma è certo, dopo aver parlato con suoi collaboratori giapponesi, che sia un carattere perfetto e facilmente comprensibile da chi legge abitualmente solo Hiragana o Katagana.

Il nostro chef è sicuro, certo al 100% che la sua idea di logo sia vincente. Noi, in realtà, siamo meno convinti della sua visione, ma cominciamo subito a darci da fare.

 

SVILUPPO

Decidiamo di utilizzare un approccio a doppia strada: la prima strada sarà quella di realizzare un buon logo partendo dall'idea del cliente e cercando di renderla coerente e appetibile da un punto di vista grafico. 

La seconda strada, cercherà nuovi segni/simboli per quest'ANIMA.

Il primo, grande scoglio riguarda il panorama di segni: il concetto di ANIMA è totalmente diverso in Giappone rispetto che in Italia. Può apparire una banalità, ma il senso di una parola può davvero portare su lidi molto lontani e molto fuorvianti, soprattutto lato creativo. 

Noi italiani (ogni semplificazione è voluta e obbligatoria), quando diciamo anima, pensiamo ad uno di spirito “religiosamente” connotato. È un dato di fatto. Uno spirito quasi materico se vogliamo.

In Giappone il concetto di “anima” si dipana in mille e più sfumature, la più corretta per il nostro caso è forse: “senso profondo di una cosa”, il suo “centro”; la sua “energia”. Si potrebbe scrivere un trattato sulla cosa, ma decidiamo che già queste semplici differenze possono bastarci come base di partenza per capire che non sarà una passeggiata.

Percorrendo la seconda strada (quella che non prevede l'utilizzo della spiga) cominciamo a fare molti esperimenti per cercare di trovare un buon concetto grafico che racchiuda il senso di Anima e lo collochi, possibilmente, nel territorio della ristorazione.

Una soluzione ci pare molto interessante: creiamo una fiamma (traslazione del concetto di “fuoco interno”, “spirito”) e le diamo lo shape di una A. Il fatto che la fiamma sia parte integrante di una cucina, è una cosa che aggiunge ulteriore senso.

Ma il risultato, assieme ad alcune altre soluzioni anche calligrafiche, non piace. O meglio, non convince in pieno il nostro interlocutore.

“State pensando a un ristorante Giapponese in Italia, quando dovreste fare il contrario”

L'appunto è corretto, ce ne rendiamo conto, ma continuiamo a pensare che, alla fine, il logo verrà “letto” da giapponesi, in Giappone. Non possiamo permetterci di essere troppo “italiani”, o rischiamo di non farci capire.

Dobbiamo ricominciare da capo, ripercorrendo, questa volta, solo la strada numero uno. La spiga.

Questa spiga ci perseguita per giorni. Per noi italiani sa di panificio, di “bio”, di “gluten free”: ha un connotato molto poco spirituale. Cerchiamo innanzitutto di trovare un'icona esteticamente gradevole e che possa inserirsi in modo organico nel logodesign. Cosa non facile anche perché altri simboli della ristorazione (forchetta, piatto, bicchiere...) non sono apprezzati dal nostro cliente. La spiga deve essere l'unico oggetto riconoscibile.

In tutto ciò, dobbiamo ricordarci dell'italianità. Deve capirsi in modo diretto che siamo italiani. A questo punto la strada creativa ci porta verso la geografia e le bandiere...

Quando si arriva alle bandiere, significa che si sta arrancando. Decidiamo quindi di non guardare alle bandiere nel loro insieme cromatico, ma nelle loro rispettive forme: rettangolo per l'Italia e cerchio per il Giappone.

Ecco.

Il cerchio è un simbolo molto potente, che richiama, come si è appena detto, la bandiera giapponese, che può richiamare l'idea di piatto e che può essere traslato sul concetto di “tutto”, di “centro”. Il suo valore in termini di significato comincia a muoverci qualcosa. In più, cosa del tutto non banale, l'idea del nostro cliente prevedeva un cerchio (un sole?) nello sfondo.

Cominciamo quindi a fare alcune prove per cercare di capire come utilizzare questa forma senza risultare banali o troppo criptici anche perché gli elementi da unire cominciano ad essere molti: la (mitica) spiga, i colori, il cerchio e non per ultimo LA FONT.

Le prove si susseguono senza sosta: il cerchio prima pieno, viene poi diviso, fatto a pezzi, rimpicciolito e poi nuovamente ingrandito. Ma nulla riesce a convincerci, nulla trova la strada dell'organicità.

Poi, come spesso capita, nel disegnare qualcosa sulla carta... il mondo ci si apre nuovamente e forse, riusciamo a vedere un po' di luce in fondo al tunnel ;)

SOLUZIONE

Il cerchio che in qualche modo abbraccia la nostra ANIMA comincia a piacerci molto. Una semplice modifica alla lettera “I” rende il tutto ancora più armonioso. Il cerchio ci permette anche di giocare in modo elegante con i colori, senza che l'impatto cromatico risulti brutale (o peggio) volgare. Cerchiamo (scusate il gioco di parole...) di rimanere sempre molto alti.

Ma su tutto, il cerchio permette di aggiungere una spiga senza che questa risulti troppo preponderante o bassa.

Il primo risultato ci convince e continuiamo a lavorare sulla forma: il taglio netto ai bordi dei vari archi, non ci piace; quindi cerchiamo alternative più morbide fino ad arrivare all'ottimo in termini di leggibilità e design.

 

La forma ora è aggraziata e l'impasto generale risulta assolutamente armonioso. C'è un po' di sbilanciamento a sinistra, per via del nostro cerchio, ma con il payoff e alcune correzioni di kernell e spazi, riusciamo a trovare una quadra otticamente gradevole. 

 

Ci sono aggiustamenti grafici da sistemare, ma tutto ci sembra fluire in modo corretto.

Anche in termini iconografici, la nostra soluzione si presta a interpretazioni differenti e tutte valide.

 

 

 

 

L'icona "vuota", infatti, può trasformarsi in un simbolo duttile ed estremamente riconoscibile: può essere usato in svariate situazioni, come, ad esempio, per incastonare la A nel profilo di Instagram.

 

 

 

Il risultato piace moltissimo al nostro cliente che, finalmente, è soddisfatto e ci fa procedere con l'esecutivo.

 

CONCLUSIONI

Ma cosa possiamo portarci a casa da questa esperienza?

  • Il cliente ha sempre ragione, finché non ha torto ;). Lo diciamo spesso: il logo design è una questione di mestiere, di competenza tecnica, ma molto più di cuore. Realizzi qualcosa che rimarrà attaccato ad un brand per anni. E tu non sei quel brand. Quel brand è diverso da te, non sei tu. Non è tua emanazione diretta. Bisogna aver rispetto di ciò che vuole il cliente e un minimo di fermezza nel guidarlo sulla corretta strada grafica. La solita frase “non capisce nulla” è SEMPRE fuori luogo. Vede cose che tu non vedi, sottolinea aspetti che non avresti sottolineato, dice cose anche sbagliate. Ma questi sono DATI, dati utili per conoscere meglio chi ti sta davanti.
  • Studiare il panorama di atterraggio. È una parte molto difficile del brand design, difficile perché spesso mancano i dati, o sono poco chiari se non addirittura contraddittori. Anche in questo caso, un aiuto lato cliente non può che essere utile. Ma cercate di capire, di leggere, osservare come comunicano gli altri, dove lo fanno, con che tono. È in quel territorio che vi scontrerete, non potete farlo con gli occhi bendati.
  • Il compromesso è alla base del mestiere: non si è artisti (in senso stretto), non si vende una visione personale e soggettiva, si vende un prodotto che deve cercare di dire a tutti la stessa cosa. Questo spesso significa raggiungere un compromesso tra buon design e tutto il resto.
  • Disegnare (anche se non si è capaci) è un ottimo strumento per dire al cervello “fai qualcosa di diverso”. E questo impulso, molto più spesso di quanto si immagini, porta su nuovi territori creativi. 

 

Se passate da Kobe e volente mangiare italiano di qualità, non potete esimervi dal passare da Anima che, per altro, apre domani!